Manoscritto bologneseNel 1840 Mary Philadelphia Merrifield, incaricata dal governo britannico, venne in Italia per rintracciare importanti codici manoscritti antichi che riguardassero la storia delle tecniche artistiche. Visitò varie sedi di biblioteche e istituzioni italiane e trascrisse alcuni importanti testi che vennero pubblicati nel 1849 in un volume intitolato Original treatises on the art of painting.

L’opera è considerata una delle raccolte più interessanti per comprendere i materiali e le tecniche esecutive di opere pittoriche su tavola. A Bologna rintracciò un codice manoscritto datato al Quindicesimo secolo proveniente dal Convento di San Salvatore (ms 165) ora alla Biblioteca Universitaria con la collocazione ms. 2861. E’ un codice membranaceo di piccolo formato costituito da 239 carte di 15 righe (tranne poche eccezioni). E’ stato restaurato a Santa Maria del Monte, Cesena, e reca un timbro circolare rosso della Biblioteca Nazionale di Parigi, traccia delle requisizioni napoleoniche.

La trascrizione riportata dalla Merrifield non ha seguito la suddivisione del testo nelle singole carte e nei recto e verso. Il testo viene riportato in continuo indicando solo il passaggio di carta. Appaiono alcune differenze non sempre marginali tra il codice e la trascrizione, dovute alla non conoscenza dei dialetti nord italici antichi e quindi alla mal interpretazione di alcuni lemmi in particolare. Appare inoltre che la trascrizione sia stata compiuta da più operatori, forse frati di San Salvatore, poiché la soluzione delle abbreviature risulta differente in diversi capitoli del codice.

Il codice venne trascritto in seguito anche da Guerrini e Ricci (Il libro dei colori, segreti del secolo XV, Bologna 1887 a cura di O. Guerrini e C. Ricci). Questo testo è servito di base per una versione in lingua corrente piuttosto imprecisa (Il libro dei colori, segreti del secolo XV, Urbino 2007 a c. di P. Castellani). La presente trascrizione è stata compiuta da microfilm, di non elevata qualità, con successivo controllo sull’originale presso la Biblioteca Universitaria di Bologna. Le parti in grassetto sono a significare la presenza di titoli rubricati nell’originale. Si è preferito lasciare l’impostazione originale della carta, a differenza delle precedenti trascrizioni, che hanno posto in continuo il testo. Le parentesi tonde stanno a indicare la soluzione di abbreviature, le parentesi quadre l’interpolazione.

Un rapido confronto con le due importanti trascrizioni precedenti, quella della Merryfield e quella di Guerrini e Ricci mostra una maggiore aderenza al testo di questi ultimi. Nella prima mancano a volte intere frasi, come ad es. a c. 7v: Sunt quidam qui de sola mastice et collofonia / faciunt pastillum et scias q(uod) pastillos/ faciu(n)t per multos et div(er)sos modos / et meliorem unum q(uam) alterum et / magis breviorem.

Il riferimento alla numerazione della Merrifield è ricordata con la M prima del numero progressivo. Manca nei trascrittori la conoscenza di alcuni simboli di unità di misure, come la “chiocciola” per la oncia e la per lo scrupolo. La lettura è talvolta fuorviante per la comprensione della ricetta: si leggerà tasi (di tartaro) anziché rasi (di rasa), sine anziché sive, preta (più vicina alla forma popolare), anziché petra. Il lessico specifico, presente nei dialetti, indica una provenienza settentrionale, anzi emiliana.

Il contenuto è diviso in 8 capitoli che riguardano rispettivamente gli azzurri, gli azzurri vegetali, i verdi, le lacche, le dorature, i rossi, le tinture. Soprattutto è dedicato ampio spazio al colore blu, del quale vengono descritte le ricette di preparazione a partire dai minerali azzurrite e lapislazzuli. La ristretta gamma di alternative all’oltremare lo rendeva degno di grande attenzione.